Teatro

Il felice incontro tra Konchalovsky , Shakespeare e l'Italia

Il felice incontro tra Konchalovsky , Shakespeare e l'Italia

Una “Bisbetica Domata” molto intrigante e innovativa per intenzioni, resa scenica e spettacolarità quella che Andrei Konchalovsky ha diretto e adattato, per l’edizione 2013 del Napoli Teatro Festival Italia, dall’immortale testo di William Shakespeare, nella traduzione di Masolino D’Amico.
Konchalovsky ha prima di tutto spostato l’azione temporale della commedia - che il drammaturgo inglese ambienta in Italia e precisamente a Padova – durante il ventennio fascista, concependo una scenografia (sue infatti anche le straordinarie scene) che su uno schermo gigante “anima” (proprio come un disegno di animazione) una piazza metafisica, i suoi palazzi spettrali, le colonne, (mentre spesso un trenino l’attraversa rendendola viva) alla Savinio e/o alla De Chirico, i due fratelli maestri indiscussi delle avanguardie pittoriche della prima metà del Novecento italiano; con essa convivono pannelli girevoli dove ogni tanto sono proiettate immagini di cartellonistica pubblicitaria d’epoca, suppellettili ed elementi di scena, che vengono spostati in continuazione in palcoscenico a seconda del mutare degli ambienti della commedia. Parimenti funzionali e bellissimi i costumi di Zaira De Vincentiis, curati nei minimi particolari secondo l’intenzione storica, fanno da corona a tutto l’insieme scenico, così come la precisa scelta delle musiche di repertorio che ci fanno rivivere quegli anni “ruggenti”, ancorché difficili, e il suggestivo disegno luci di Sandro Sussi. 
Ma tutto questo affascinante apparato non fa che sottolineare la lettura ironica e nello stesso tempo quasi satirica di “La Bisbetica domata” in questa edizione Konchalovsky, dove ogni personaggio sembra ricordare ogni tanto un prototipo simbolo di quegli anni: da Gabriele D’Annunzio, a Louise Brook, dal Sergio Tofano del “signor Bonaventura” a Groucho Marx, e questo ci dà anche una cifra cinematografica dell’insieme. Né manca il personaggio vestito da gerarca fascista. Soprattutto vi è da sottolineare la grande eleganza, originalità e giovinezza scenica di una regia che mantiene un ritmo serrato durante tutti e due gli atti, in uno scoppiettante e rutilante gioco scenico, dove ogni attore è al posto giusto, impiegato in maniera intelligente ed eclettica.
Afferma lo stesso Konchalovsky nelle note di regia: “Ho scelto La bisbetica domata perché, per la mia prima regia italiana, volevo un’opera italiana. Questa commedia rappresenta il vostro paese molto più di Romeo e Giulietta. È ambientata a Padova, i personaggi sono tutti italiani, e c’è anche la commedia dell’arte, pur se scritta da Shakespeare.”
Uno spettacolo godibilissimo dove sono anche ribaltati i canoni di lettura tradizionali dei due personaggi principali della vicenda: Petruccio e Caterina, interpretati da Federico Vanni e Mascia Musy, che spingono l’accelleratore sull’ironia disincantata, rendendo la coppia in questione più moderna e accattivante. Mascia Musy è come sempre straordinaria signora della scena, usa la voce e la fisicità in modo poliedrico, e sempre al servizio di una corretta spettacolarità scenica, restituendo una “bisbetica” moderna e consapevole del suo essere donna. Le fa da contraltare il non meno bravo e multiforme Federico Vanni. Bisogna, però, sottolineare la bravura di tutti gli attori, da Vittorio Ciorcalo che ad un certo punto si esibisce in un esilarante ed entusiasmante grammlot, a Selene Gardini, Peppe Bisogno, Roberto Serpi, Giuseppe Rispoli, Carlo Di Maio, Flavio Furno, Roberto Alinghieri, Adriano Braidotti, Antonio Gargiulo, Francesco Migliaccio, Cecilia Vecchio. Attori scelti dal regista selezionandoli tra Napoli e Genova, una intrigante commistione di tradizione, stili e diversi comportamenti scenici, a mio avviso.
Uno spettacolo dove vengono esaltati i tipi “umani”, i loro difetti, in una parola “la vita”, come sottolinea a giusta ragione il regista, uno spettacolo dove gli attori recuperano in pieno anche il ruolo mimico del corpo. 
Dice infatti  Konchalovsky: “Shakespeare è la vita stessa, una combinazione fantastica di terra e cielo, volgarità e poesia. I suoi personaggi sono più grandi della vita e hanno quel tocco di follia e assurdità che li rende più interessanti.”
Il finale è allegro e forse amaro insieme: Caterina, secondo il volere di Petruccio, legge i comportamenti di una moglie dabbene e ubbidiente, quasi un catalogo di regole ben prefissate, ma lo fa con quella affascinante ironia di sé e degli altri che ci fa intendere come una moglie sapientemente “dolce” può dominare con le sue arti sottili un marito falsamente imperioso, invece docile come un agnellino da cavalcare. Infatti Caterina termina la lettura proprio seduta in groppa al marito.
Nel frattempo esplode la festa e si sentono le struggenti note di “Parlami d’amore Mariù” cantata dalla meravigliosa voce di un Vittorio De Sica giovane che portò al successo la canzone nel film di Mario Camerini “Gli uomini che mascalzoni” (altro rimando cinematografico).
Una melodia simbolo di quegli anni, simbolo di un ingannevole e fuggevole momento storico che portò ad una terribile guerra.
Molti e calorosi applausi finali.